11.9.06

Profondo Rosso


Cosa c'è alla base della fama del più famoso film di Argento?
I detrattori puntano il dito contro le lungaggini di alcune sequenze (l'ispezione alla villa del bambino urlante), l'assurdità di certi delitti, l'eccessivo fervore, il finale baracconesco (comune a molte pellicole del regista), l'improbabilità dell'assassino.
I sostenitori, dall’altro lato, evocano espressioni quali "poesia della violenza", "controllo formale", "espressionismo", tendendo in questo a confrontare la pellicola con altre del genere. Il film infatti, per essere un "thrilling" (come fu pubblicizzato all'uscita nelle sale, nel 1975), è indubbiamente superiore alla media per sceneggiatura e soprattutto confezione. Il montaggio resta ancor oggi esemplare, il lavoro sul suono mirabile, e anche i tempi sono ottimizzati per l'effett(acci)o finale.
A rivederlo tante volte, comunque, qualcosa indubbiamente sembra non funzionare. Tutto quello che non è semplicemente visivo rischia spesso di appare puerile ed artificiale. E anche le invenzioni pittoriche sono annegate dal sadismo, che sposta l'attenzione e tende a fiaccare i sensi.
Un ottimo film di genere, senz'altro, ma a volte poco distante dal bric-à-brac degli "idioti dell'orrore" (Battiato). È proprio lo spavento generato a indebolire una pellicola che potrebbe avere ambizioni più ampie (non contenutistiche, ma formali) e a farlo restare soltanto un film pauroso. Sarebbe stato possibile allargare l'estetica dell'omicidio e della brutalità ai canoni più ampi della bellezza vista come dramma, scissione (cfr il solito Bacon, o Genet), ma le scelte sono precise, e orientate più all’omaggio al genere che all’arte.
Quindi la paura è il mezzo e il fine. Questo è il limite.
È comunque interessante pensare all'influenza dell'architettura e del design, della moda e del costume sull'attribuzione dell'aggettivo "spaventoso" a quello che si vede.
Il film fa paura perché è vecchio e sporco, perché le luci sono taglienti, le musiche tese, i colori vivissimi (quel sangue di un rosso irreale è ancor più pauroso di quello vero, perché diventa parossismo del concetto di sangue. Come dire: tutto è malato, persino il sangue delle vittime), i dettagli morbosi (i rubinetti, gli specchi incrostati, la puntina del giradischi, le carrellate sui tavoli pieni di oggetti bizzarri e rossi).
Quell'arredamento (vedasi la casa della prima vittima) è funzionale alla storia, persino gli esterni sono tetri, spaventosi, e in ultima analisi tutti gli ambienti, naturali e non, funzionano decisamente.
Nel successivo Suspiria (1977) il décor barocco e coloratissimo - fin nelle luci, a tratti kitsch - e le scenografie pompose e visuali serviranno più da contrappasso che da sostegno. Qui invece le luci violente, i colori scuri, le prospettive sghembe generano una tensione subliminale profonda e duratura, e concorrono a generare il meccanismo della paura.
A qualcuno capita ancora di girare per le città e di inquietarsi a vedere gli androni dei palazzi, "stile profondo rosso", e di provare disagio a trovarsi in quelle strutture. Tale è la forza visiva del film.
La violenza è esplosiva, e poco credibile in certi tratti (avendo a disposizione un'arma affilata, che bisogno c'è di ficcare la testa della vittima nell'acqua bollente?), ma è indubbiamente vincente. La pellicola fa paura perché si sente che quella che rappresenta è la violenza che lo spettatore desidera. Fa paura la propria parte oscura che spinge a non girare gli occhi, ma anzi a guardare attentamente la mano dell'assassino che spacca i denti della vittima contro gli spigoli del camino. Il film tiene cioè conto dell'orrore inconscio, che completa la gamma di quello mostrato, centrando in pieno l'obiettivo di mettere a disagio.
A volte Argento si trova pericolosamente sul margine: ma sa bene che troppa violenza diventa grottesca e genera distacco, e dunque si tiene costante sul bordo. E mostra il massimo tollerabile, e nello stesso tempo credibile. Il regista introduce così una misura nella violenza (tra le pur abbondanti efferatezze).
Cliccare sul link, dove si vede il bellissimo trailer originale:
http://www.youtube.com/watch?v=Bjc1-Co-Fxk

Dario Argento, 1975

6.9.06

Naturträne



Così, ex abrupto, viene fuori Nina Hagen, in una strepitosa esecuzione dal vivo.
Ecco il link: http://www.youtube.com/watch?v=8pZ9LO6df9Q
I suoi dischi sono veri e propri tour de force vocali, sostenuti da una band molto energica. Anche un pezzo stralunato come questo conserva nello stesso tempo l'iconoclastia e l'intensità - appena un po' velata di imbarazzo - di una musica che trova nella forma il suo messaggio più elevato (cfr. Velvet Goldmine di Todd Haynes e tutto il discorso del glam-rock)
[domanda di costume e società: ma perché il trucco del chitarrista-culturista non è stato copiato da nessuno?? è splendido splendente!!]
Seguire il testo, prego, cantando a squarciagola (è proprio il caso di dirlo)…

Offnes Fenster präsentiert
Spatzenwolken Himmelflattern
Wind bläst, meine Nase friert
Und paar Auspuffrohreknattern
Ach, da geht die Sonne unter:
Rot, mitGold, so muss das sein.
Sehe ich auf die Strasse runter,
Fällt mir ein Bekannter ein
Prompt wird mir's

jetzt schwer ums Herz
Ich brauch' nur Vögel flattern sehen
Und fliegt main Blick dann himmelwärts,
Tut auchdie Seele weh, wie schön!
Natur am Abend, stille Stadt
Verknackste Seele, Tränen rennen
Das alles macht einen mächtig matt
Und ich tu' einfach weiterflennen...
Aaaahhhh...

Nina Hagen, 1978

(grazie ad Enrico per la segnalazione)

30.8.06

L'estate sta finendo



La bellezza comincia a non dirmi più niente.
Nemmeno il significato.
La tensione all'assoluto diventa sempre più una ricerca del bar aperto più vicino.
Da nord a sud, da est a ovest, sotto queste stelle o sotto paglie intrecciate, tutti stanno, tutti si trasformano, poi, e cominciano la loro traiettoria.
Tra poco torneranno a scuola i bambini, con gli odori dei libri nuovi che viaggeranno sull'autobus con loro, per le strade che altri occhi vedono caotiche.
La bellezza tornerà a posarsi ovunque, e a tentare un immagine, un contatto, un conato.
Non resta che lasciarsi andare, dicono tuttissimi.
Avrò il coraggio di non lasciarmi convincere?

21.8.06

Stare fuori


Chi sta al margine vede più cose contemporaneamente, essendone però distante (‘blow back, derelict wind’ – Beck). Chi sta al centro deve girarsi tutto intorno per guardare, ma è in mezzo ad ogni cosa.
C’è una tendenza diffusa a volersi buttare (è un po’ l’estate, dicendola tutta, che spinge i timidi a cambiare la muta e farsi farfalloni), e a fare entrare gli altri nella propria sfera personale, dal momento che ormai non c’è più nulla di personale, e dunque tanto vale esibirsi un po’.
L’atteggiamento più funebre, invece, è come sempre quello di fingere. Chiudersi in casa o nel guscio per farsi dire xyz. Un’azione positiva infatti può essere anche una molotov: la morte vera è nella menzogna inesorabile (che diventa menzogna sociale e astratta a un tempo, come piacerebbe a Gide).
L’alternativa scomoda è una solitudine un po’ satirica, senza vergogna e con molta emotività. Stare soli, un po’ come dire stare fuori…

Stare da soli è fare da sè

Un po' per voglia sì, ma un po' perchè
E intanto sale il conto della vita

Tu che la tua sorte non l'hai mai capita
Stare da soli è terra masticata
Ributtare nei polmoni una canzone appena nata
Fare l'amico farsi compagnia
Tendere agguati alla malinconia
Che sia così che va la vita ?
Soli, un po' come dire stare FUORI
Un po' più che un'arte stare soli
Volere bene al tempo
Che ti batte e che ti lascia fuori
Ridere soli è cosa che non va

Come pure fare a calci con la verità
E a mano a mano che si piega il sorriso
Mostrare tutti i tuoi denti al Paradiso
Che sia così che va la vita ?
Soli, un po' come dire stare fuori
Un po' più che un'arte stare soli
Volere bene al tempo
Che ti batte e che ti lascia... fuori,
è più di un anno stare soli

Più di un inverno stare
fuori
Più della faccia di un amore
Che non ti vuole e che ti lascia
fuori.

Ivano Fossati, 1982

3.8.06

Hallo spaceboy


Spaceboy, you're sleepy now
Your silhouette is so stationary
You're released but your custody calls
And I want to be free
Don't you want to be free
Do you like girls or boys?
It's confusing these days
But moondust will cover you
Cover you
This chaos is killing me
So bye bye love
This chaos is killing me
And the chaos is calling me
Yeah bye bye love
Good time love
Be sweet sweet dove
Bye bye spaceboy
Bye bye love
Moondust will cover you


David Bowie, 1995

Space age love songs, “nuove modernità” cantava Diana Est. E pensare che Starman ormai è stata schiacciata dalla litania impavida della merdevisione. “Voglio essere libero”.
Spaceboy you’re sleepy now, your silhouette is so stationary.
Le furberie si sprecano, e gli inquieti si tritticano sulle gambe, sognano il freddo glaciale, la polvere di luna che li ricopra. Si sentono generosi di caos assassino, vogliono pesare sulle esistenze, incombere su qualcuno. Vessare, sfiancare, sfibrare, è il passatempo più ambito. Passa tempo. Togliere sangue al cuore.
Molti altri invece vogliono essere liberi davvero, e non ascoltano queste canzoni e non si fanno affascinare da questi alambicchi.
Le astruserie astronomiche (e astrologiche, per i più economici) sono solo pretesti. Gli Autechre fanno musica vuota. Chi ci vede il sublime è povero. Ma oltre questo cosa c’è?
Leggere Busi mi deprime. È troppo. Non mi va più di scrivere. Comincia l’estate vera.

2.8.06

The Devil in Miss Jones



Miss Justine Jones (Georgina Spelvin), dopo aver osservato il traffico scorrere lento in una giornata piovosa qualunque, chiude le tende, si guarda allo specchio, si sveste, entra nella vasca e si taglia le vene.
In un’aldilà imprevedibile (lo studio di una villa nobiliare, con un tavolo enorme e sedie ottocentesche) un gentleman distinto e dolcemente diabolico le offre da accendere e le concede di tornare in vita per provare i piaceri che si è sempre negata. La signorina Jones è zitella, stagionatella, non bella, e accetta l’esperienza propostale con qualche dubbio.
Tornata nell’aldiqua un personaggio, The Teacher (Harry Reems), la erudirà in anatomia e fisiologia, e un tassello alla volta madamoiselle Jones si libererà della sua corazza e precipiterà nella dannazione vera, quella del lasciarsi andare e seguire i propri sentimenti, attraverso esperienze sessuali esotiche e sempre più parossistiche (con un uomo, poi una donna, due uomini, un tubo da giardino, della frutta, un serpente).
Nel corso di questa sua discesa (o forse ascesa a un’origine inconsapevole) Frau Jones muta di lineamenti ed espressioni. Sempre più Medusa, i suoi capelli si arricciano, il trucco si fa sempre più pesante e disperato. Le sue prestazioni sempre più accorate e urlate. Il sesso è verboso, incontenibile, transustanziato negli oggetti e nei volti anonimi che le orbitano intorno. Il climax è assoluto, erotico come non mai. La musica di Alden Shuman è ispirata e romantica, a sottolineare la componente più negativa dell’atto più godurioso, e riporta alla mente le atmosfere rarefatte e speciali degli eventi speciali e rarefatti che diventano ricordo personale. Mentre si guarda il film ci si eccita con una malinconia panica, sì che il ritorno (a qualunque cosa) sembra un’odissea tragica, velata di una dolcezza animale ed istintiva.
Al termine di questo piccolo tempo concessole, la nostra eroina, al cospetto del gentiluomo luciferino, prova a chiedere la permanenza definitiva sulla terra così piena di sublimi sofferenze.
Ovviamente ottiene un rifiuto, e anzi una feroce condanna, oltre l’umana immaginazione: passare l’eternità a masturbarsi senza mai raggiungere l’orgasmo, chiusa in una cella con un uomo impotente e ossessionato dalle presenze che avverte intorno a sé.
Nel filone dell’esitenzialismo, questo film porno è la vetta ineguagliata della sua vocazione espressionista (cfr. la visione di Roquentin ne “La nausea”).


Gerard Damiano, 1972

1.8.06

Ultra-cultura ultra-(lolli)pop (II) – Bastardo dentro :)


Non sono contento della fine del bastardo dentro :), nonostante non ne avessi mai avvertito la rappresentatività, né il battito. Gli intellettuali dell’ultim’ora hanno lasciato nessuna allegria, nessuna macarena, e “Yo soy Candela” è già cicatrice, sostrato limoso. I cloni fanno tristezza a tutti, e sono causati dalla solita ostilità di chi potrebbe far qualcosa perché il pop diventi cultura e invece stanno a rompere le balle con i sofismi.
L’estate senza il bastardo dentro :) è quasi insopportabile. Odio l’avvicendarsi degli altri mitucci. Fa caldo, e nessuno sfogo… Mi annoio… Nemmeno un bastardo dentro :) per chiacchierar.
La nave affonda, bastardi, figli di zoccola, intellettuali, che il diavolo vi ammazzi nel sangue! Guardate cosa avete fatto! La hola si è fermata a mezzo stadio per colpa vostra, che incrociate le braccia e trasformate l’olio in sabbia! Mi fate rabbia!
Qualcuno ascolti il mio sfogo. Neanche internet è più lo stesso senza il bastardo dentro :) . Torna, torna da noi!
Non lasciarci in balia dell’ennesima estate al mare, con i rivoli di sudore e di grasso che cola. Tu eri così asciutto, bastardo dentro :) che ti muovevi nell’ombra di certe definizioni, negli ambiti più familiari! Sei così inarrivabile. Vorrei sposarti! Marcella Bella ci ha provato a farti un monumento un po’ più duraturo, ma tutti continuano a ricordarsela per quella orribile “Tanti auguri a te”…

Tu, dal tuo canto, non hai fatto niente per resuscitare, quando sei stato richiamato in vita… Ci siamo abbassati alla seduta spiritica e tu niente! Sei proprio una delusione, e lasci nel cuore (oltre al tuo ricordo) tanta tristezza per una modernità infranta. Senza di te la contemporaneità sarà sempre passato prossimo, al più.
Aspettiamo il prossimo mito che rimanga, perché ci siamo scassati la minchia degli addii. Vogliamo amare qualcuno per sempre.
Ti dedico questa canzone, ispirata alla tua dipartita.

Un giorno dopo l'altro
il tempo se ne va
le strade sempre uguali
le stesse case.
Un giorno dopo l'altro
e tutto è come prima
un passo dopo l'altro
la stessa vita.
E gli occhi intorno cercano

quell'avvenire che avevano sognato
ma i sogni sono ancora sogni
e l'avvenire ormai quasi passato.
Un giorno dopo l'altrola vita se ne va

domani sarà un giorno uguale a ieri.
La nave ha già lasciato il porto
e dalla riva sembra un punto lontano,
qualcuno anche questa sera

torna deluso a casa piano piano.
Un giorno dopo l'altro
la vita se ne va

e la speranza ormai
è un'abitudine.
[Luigi Tenco]

Non ti dimenticheremo mai.


Nota: Dopo aver introdotto la mia URL nella barra di quesito di "Google translate", il programma ha tradotto così una delle ultime frasi di questo post: "We wait for the next myth that remains, because we have scassati the minchia of the goodbyes". Che bello!

24.7.06

Ultra-cultura ultra-(lolli)pop (I) - Le femmine aggressive



"Lo scompiglio adesso c’è
dentro nei progetti tuoi
tutto all’aria getto io
o pover’uomo
Così tenero con me
così burbero con chi
non voleva dire sì
come me
Mi credevi tutta tua
mani e piedi stretta a te
e vedermi volar via
che sorpresa
Mi piaceva star con te
ma tu eri solo un flirt
era solo un viaggio

o un week end
Volevi un amore grande
volevi un amore grande
quelli che cambiano una vita
è capitato proprio a te
Pover’uomo cosa fai
non mi dire o mamma mia
che davvero piangerai
non è il caso
Così maschio quando vuoi
un pulcino adesso sei
hai sbagliato tutto ormai
su di me
Volevi un amore grande
volevi un amore grande
quelli che cambiano una vita
è capitato proprio a te"

(Loredana Berté - Volevi un amore grande)

Uno spray in mano, la gommina nei capelli. Vestirsi come Nina Hagen e parlare di argomenti tabù. Gli slogan, il gergo. Il femminismo masticato e sputato, un’ironia ostentata, e soprattutto la “grinta”.
Le femmine degli anni settanta/ottanta sono morte per sempre, sepolte nella carta straccia e nella mente straccia di pochi, uccise annegate dal dilettantismo e dalla disorganizzazione estrema che ha contraddistinto la loro esistenza.
Un tempo infatti c’era un afflato naïf che ispirava le confezioni (messe a punto come sempre dagli uomini e attuati dalle donne sfruttate, ma che pure avevano una dignità), perché c’era la vita all’aria aperta e un’attenzione più spostata agli eventi che agli oggetti. Persino lo squallore, oggi tanto temuto e odiato, era in un certo senso avvertito ed accettato, perché inscritto in una filosofia che allo squallore non dava l’importanza che gli si dà adesso.
Oggi il professionismo ha risucchiato in sé tutte le energie di chi crea e di chi consuma cultura (?) pop.
Il pressappochismo non è più ammesso. Persino il trash (es. er Monnezza e colleghi) deve essere rimontato e mondato. Starsky e Hutch devono essere più belli e le Charlie’s Angels più atletiche. Insomma, bisogna ripulire quell’alone squallido che infesta quei personaggi tanto sublimi.
La panza dei giocatori di calcio dunque, il look arrangiato alla bell’e meglio mezz’ora prima della diretta (in questo consisteva la libertà di un concetto di spettacolo che era leggerezza) sono cancellati e rifatti da capo, con l’orrore dei nostri tempi nella mente.
Oggi tutto è livido e plumbeo. Una trasmissione di intrattenimento diventa così un’estenuato tour de force di gare al più bravo, in frenetico e costante zapping umano. Lo squallore tanto evitato si trasforma così in orrore, allegramente.

[Jo Laudato scrive, a proposito di Old Boy, un bel film del coreano Park Chan-wook: "Regia, montaggio, fotografia, colonna sonora sono praticamente perfetti ma proprio per questo risaltano l’evidente blockbusterizzazione del cinema contemporaneo che ormai non lascia nulla al caso assestandosi su standard di preoccupante professionalità"].
Il nuovo canone ultraprofessional accontenta gli occhi e il cervello di chi si accosta alla vita con un senso di gravità abissale, e riesce persino a divertire le nuove generazioni così spaventate e fuori di sé.

Di contro, questo sistema annulla la fortuna di quei personaggi che potrebbero diventare giustamente famosi ed amati pur essendo tecnicamente eccepibili (Gabriella Ferri oggi verrebbe calciata nel culo. A questa preferirebbero Dolcenera e la depressione a lei correlata) e che in fondo rappresenterebbero l’unico tratto d’unione tra il pop e la cultura pop.
Il discorso sembrerebbe avere qualche incrinatura: ad esempio un tempo anche le canzonette erano suonate con le palle, e non con i computer, e la sigla di un cartone animato te la ricordavi per sempre, e magari ora il marabù di turno ti remixa un riff ispirato a quello squallore reinterpretato.
Sembra un’eccezione, ma non è così. È solo cambiato il centro di attenzione del tutto. Oggi la sigla dei cartoni animati non è un target interessante, non è traino di una massa, i bambini oggi sentono le voci e ricollegano le voci agli schemi, e that’s all. Si lavora su altro, sulla pubblicità, sulla comunicazione, sugli intrattenimenti “adulti”. Quando vorranno plagiare anche i bambini introdurranno le sigle con gli ultrasuoni, ma per ora si accontentano di cambiare il senso estetico di un bambino modificando quello dei genitori (tattica molto più facile, in fondo, e di sicuro risultato).
Insomma, ora è un lupanare, ma chi è stato a cambiare così le cose? Chi è stato il primo?
Un gioco divertente può essere rintracciare un capro espiatorio, uno spartiacque che ha decretato l’inizio della guerra al dignitoso squallore.
Mi viene in mente una possibile risposta, e la butto là: Whitney Houston.
Un brutto giorno qualcuno tentò di spacciare i suoi conati vocali parossistici per pezzi di bravura ed elevò i suoi ultrasuoni a canone estetico, e subito quei suoni striduli furono i termini di una nuova competizione.
Mariah Carey riuscì vincitrice, poiché provò a superarli, e le due gareggiarono per un po’ in un crescendo di virtuosismo nauseabondo, tale che in confronto un disco degli Yes fa pensare al tarocco della Temperanza.
Da allora una sequela di ultrasuonare sgomitanti è avanzata, terzo stato involuto e senza ideazione (altro che le femmine incazzate del rock anni 70), e la radio non le fa stare mai zitte, riempiendoci le strade di infinite variazioni sul tema della melodia (che in fondo è il sottogruppo meno interessante della musica).
Cosa rimane delle femmine bastarde degli anni ’70, che volevano essere sporche e approssimative come i maschi dell’epoca? Un pugno di canzoni:


Fatelo con me
Non so dormire sola
Maschiorama
Codice uomo
Parlate di moralità
Meglio libera
E sputo in faccia ai giorni tuoi
Così se ti va e questo finché mi andrà
S.E.S.S.O.
Un click d'ironia
Fammi toccare
(giochino: due dei titoli me li sono inventati. Quali?)


Per il resto, tanta nostalgia per il dilettantismo e la velleitarietà.
Leggete questa scheda di Jo Squillo, recuperata in rete:


“Vero nome Giovanna Coletti, appartenente alla new wave milanese, nell’ottobre del 1979 formò assieme ad altre tre ragazze il gruppo Kandeggina Gang, dall'accentuato carattere punk. I testi e i loro atteggiamenti, spudoratamente contro il maschilismo, scandalizzarono i milanesi; fra l'altro durante l'8 marzo 1980 rivendicando la distribuzione di tampax gratis, cominciarono a lanciarli macchiati di rosso durante un loro concerto in piazza del Duomo. Il gruppo incise per l’etichetta Cramps il 45 giri su vinile colorato Sono cattiva/Orrore. Nel giugno 1980 Jo Squillo è stata capolista del Partito Rock che si presentò alle elezioni comunali. Lo stesso anno partecipò in Germania al grande raduno di Francoforte Rock contro il Razzismo. Nel maggio del 1981 uscì il suo secondo 45 giri Skizzo Skizzo/Energia interna, pubblicato sull'etichetta indipendente 20th Secret, autogestita con il gruppo dei Kaos Rock, 4 mesi dopo è la volta del suo primo album, Girl senza paura.”
(Dal sito:
http://digilander.libero.it/gianni61dgl/josquillo.htm)

Non vi fa venire le lacrime agli occhi (non per lo sforzo defecatorio…)?

18.7.06

Poco zucchero


Opera sconfessata ed entrata nel numero delle cose della memoria (e basta), Poco zucchero di Faust'O appare all’orecchio dell’ascoltatore moderno un’opera accattivante.
Dimesse le attenzioni per la confezione new wave, che pesca nella pozza arida di un tempo passato in tutti sensi, si apprezza la spinta creativa e assertiva dei testi e delle scelte sintattiche, il piglio freak e il senso generale di convinzione, più a fuoco del precedente (e divertentissimo) “Suicidio”.
Gli arrangiamenti sono come sempre attraenti, in linea con il glamour del disco (a cominciare dalla copertina e dalla grafica radicale). In particolare la sessione di fiati contrappunta le ritmiche sincopate e gelide (Cosa rimane, irresistibile, Kleenex, in una versione désengagée, Funerale a Praga, drammatica e definitiva).
Le chitarre stendono un tappeto di accordi che talvolta si incrociano e risultano epiche (In tua assenza, capolavoro del disco, dai più congelato come scialbo remake di “Breaking glass” di Bowie, o ancora Il lungo addio, struggente capitolazione di un discorso), mentre l’elettronica stende al tappeto ogni stoicismo, sparpagliando il dubbio manicheo che la scelta dello stile sia o meno una chiara impronta dell’onestà dell’ispirazione.
Col senno di poi tutti gli allarmi rientreranno e si tenderà a farne cosa piatta, immeritatamente.
Cosa rimane?


Faust'O, 1979

7.7.06

Easy to slip away


It’s my fault too: I play a hermit’s role
Hardly ever seem to get outside these days
So, dear friends, as we grow on we feel to grow away,
CAN ONLY LIVE IN THE HOPE THAT SOME DAY
IT WILL ALL RETURN,
BUT IT’S SO EASY JUST TO SLIP AWAY
EASY JUST TO SLIP AWAY…


Peter Hammill, 1973

5.7.06

Twin Infinitives


Un monumento alla mela marcia (nel girone filosofico dei recuperisti e gli ottimisti del mio cazzo).
Il solco del disco è pieno di polvere, e il suono è ottuso. Bisogna aspettare che una voglia di pulizia e di rinnovamento arrivi a estrarre il corpo eccetera dalla algogena sporcizia interiore. Per ora però non se ne parla
Un’acredine è giustificata quando è imprecisa e inesatta, quasi illogica, come un’indigestione di vomito. I pezzi di vetro stanno là in mezzo, per terra. Un corpo è rovesciato. L’estate e i soprusi, il sonno e la mancanza di sonno. Questo è Un Disco Per L’Estate.
A che pro parlare di blues e di smembramenti? Il disco dei Royal Trux si chiama Twin Infinitives ed è definitivo e impossibilista. I suoni sono dolorosi. Altro che infinitivo.
Ogni pezzo è un’ischemia. È un disco per gli innamorati, quelli cattivi però.
L’innamoramento finisce. Nei cuori discreti risiede solo l’amore, provvido e tenace. In alcuni casi fertile. Al cuor gentile ripara sempre amore, nel dolce trascorrere dei tempi, tra un trasalimento e l’altro. Il mondo è stilnovista.

E l’innamoramento finisce per tutti. O quasi. Chi fa eccezione se ne vada fuori, e si porti appresso questo disco, e non rompa i marroni alle persone che vogliono dimenticarsi quanto è bello essere per sempre innamorati. Chi è innamorato per sempre è per sempre moribondo. Lasciatelo solo.
Twin Infinitives, 14 pezzi. Una colonna sonora per la vita o per la morte, si può scegliere, è un disco libero, nonostante sia costantemente trafitto dalle forche orribili.
Carica iconoclasta, sì sì, lo so, pietra miliare, “Si!” joyciano alla vita, magari… andatevi a leggere questa recensione, che è scritta bene:
http://www.ondarock.it/pietremiliari/twin.html
Che almeno il mio blog serva a qualcosa.
Io, per me, dico che spero che il disco non finisca mai e tutto il resto finisca presto.


Chances Are The Comets In Our Future
Chances are doors that just open up
I don't just carry for nothing
Ten tons of rain in a plastic cup
Tears unknown that fill oceans
Chances are the comets in our future
While others go on living in the past
The future seems farther away than Jupiter
Does appear through the telescopic glass
You can move so many, many times
Our home is everywhere we've been
Some people like to show humility
Others live in dramatic scenes on ships
Instead of feeling their own dealing and partake
They grow invisible as their soul starts to slip
Away from the center of illumination
That old steel-toothed border upstairs

Royal Trux, 1990

24.6.06

Chris Ware



(cliccare per ingrandire)
I gelosi non sopportano di vedere la felicità, ma soprattutto la grande quantità di cose che travolgono le esistenze altrui.
I fumetti e i disegni di Ware conferiscono la sicurezza della riscoperta dell'educazione alla solitudine. La presenza e il cesello sono ritagliati e fortemente contrastati con lo sfondo, i personaggi somigliano a qualcosa nel nostro immaginario di già sentito o sognato, le storie illanguidiscono, lasciano lontana la gelosia e l'avidità dalle menti, carpiscono l'energia più leziosa ed estrosa, restituendo una tregua spirituale che fa pensare agli esiti della pittura rinascimentale.
L'esposizione al Museum of Contemporary Art di Chicago (maggio 2006) manteneva intatta la struttura ipnotica e spiraleggiante delle strisce, attraverso un'esposizione che correva lungo le 4 pareti della sala, aperta in fasce sopra e sotto i ritagli fitti delle sue opere, ma immersa in un'inattesa clausura.

21.6.06

Morgue - seconda parte (un barlume di critica)


Gottfried Benn, ovvero la liberazione dell’uomo dalla logica aprioristica, per mezzo di una vivisezione cerebrale cruenta e necessaria.
La carne morta è dichiarata ricettacolo di terrene virtù; questa è la vena sanguigna più rossa
del nichilismo più nero.
L’“io” espressionistico è nettamente definito da Benn per mezzo dell’identificazione del vuoto
intorno al “non-io”. Per sottrazione dunque (ma con maniera ed espressionistico furore) si indefinisce il definibile, privando dell’essenziale l’essenza stessa delle cose, rendendole cioè “niente”.

Morgue I: Il piccolo astero

Un birraio annegato fu sbattuto sul tavolo.
Qualcuno gli aveva insinuato tra i denti
un piccolo astero violetto.
Quand’io sul petto
sotto la pelle
con un lungo bisturi
ne tagliai fuori lingua e palato,
devo averlo sospinto, perché
scivolò dentro il cervello lì presso.
Lo infilai nella cassa toracica
tra la segatura
quando ricucimmo.
Nella tua coppa bevi a sazietà!
Dolce riposo a te,
piccolo astero!

Gottfried Benn, 1912



13.6.06

Pausa



uno si crede che mai è mai

e quasi imperfette le onde circolari

invece di milioni di mai vedo la coda

fuori dagli stipi trascurati

e questi giri intorno

sono la perfezione di sbieco

4.5.06

Paura


Fear is a man's best friend

10.4.06

The passion of lovers


she had nut painted arms
that were hers to keep
and in her fear
she sought cracked pleasures
the passion of lovers is for death said she
and turned to feather
and as I watched from underneath
I came aware of all that she keep
the little foxes so safe and sound they were not dead
they'd gone to ground
the passion of lovers is for death said she
the passion of lovers is for death
the passion of lovers is for death said she
the passion of lovers is for death
she breaks her heart
just a little too much
and her jokes attract the lucky bad type
as she dips and wail
sand slips her banshee smile
she gets the bigger of the better to the letter
the passion of lovers is for death said she
the passion of lovers is for death
the passion of lovers is for death said she
the passion of lovers is for death

Bauhaus, 1978

3.4.06

...è un gioco? bè, allora fatemi ridere


It was the first thing that I saw
You never see that kind of Classical Girl
Understand
It was the first thing that I saw
That was fate
"It was the ballistics!..."
No... that was fate
It was a world
What a world!
What a world, what a big world...
But a world to be drowned in
It's just a JOKE man!
Another day?
Well, SUFFER
for that's the way of the west
SUFFER
Oh
Oh it's a joke!
It's a joke
Oh
It's a JOKE
That's a joke?
Hunh-unh
Well
HUMOR ME!

Pere Ubu, 1978

10.3.06

Dogville



Ostracismo culturale a chi leva voci senza aggiungere nulla, esilio volontario a chi contraria l’estetica comune senza essere egli stesso un canone convincente. Un tristo fato (quinto grado) per chi sta a dissentire. Dunque non proseguite a leggere questa recensione se non riuscite a perdonare un fallito.
Dogville è una brutta bestia, e soprattutto un brutto film.
Messinscena brechtiana dicono, come per sottolineare l’esemplarità. Uno schema criptomanicheo molto vacuo e compiaciuto, dico io.
Attori dolciastri, dialoghi postintellettuali, e il doppiaggio che avalla i tanti stereotipi. I triti temi della maledetta società degli young americans, smerdati fino ai titoli di coda - dove vengono mostrate senza vergogna immagini di atrocità varia - sono resi ancor meno urticanti dal solito razzismo diffuso, che ricorda quello di chi riesce a vedere i quadri in 3D rispetto a chi non è iniziato. Un po’ come American Beauty, una specie di prontuario di cinismi da salotto e perline sagge da sciorinare ai parties.
Chi si fa eccitare dalla storia raggiungerà pure un climax orgasmico nella carneficina finale, ma io e vostra nonna, che siamo frigidi a questi spettacoli, osserviamo un po’ schifati il fondo cieco entro cui si perdono le continue furberie spacciate per “trama” da uno snob.
Alla fine un cane guarda il cielo e dice non chiedetelo a me, sono solo un cane, e anche se potessi non vi direi nulla.
Grazie, Lars. Mi hai fatto amare i cani.


Lars Von Trier, 2003

9.3.06

'Na predica de mamma


L'amichi? Te spalancheno le braccia
fin che nun hai bisogno e fin che ci hai;
ma si, Dio scampi, te ritrovi in guai,
te sbatteno, fio mio, la porta in faccia.

Tu sei giovene ancora, e ‘sta vitaccia
nu’ la conoschi; ma quanno sarai
più granne, allora te n’accorgerai
si a ‘sto monno c’è fonno o c’è mollaccia.

No, fio mio bello, no, nun so’ scemenze
quer che te dice mamma, ‘sti pensieri
tiètteli scritti qui, che so’ sentenze;

che ar monno, a ‘sta Fajola d’assassini,
lo vòi sapè chi so’ l’amichi veri?
Lo vòi sapè chi so’? So’ li quatrini.

Cesare Pascarella

28.2.06

Sentimental journey


Down the hall
to the stairs
Down the stairs
to the street
Down the street
to the corner
Round the corner
nowhere
Nowhere to go
I don't know
I guess I'll just go home

Pere Ubu, 1978

21.2.06

Morgue - Bella gioventù



La bocca di una ragazza, rimasta a lungo nel canneto,
appariva tutta rosicchiata.
Quando le venne aperto il petto, l'esofago era martoriato di buchi.
Si trovò infine in una cavità sotto il diaframma
un nido di giovani topi.
Una piccola sorellina era morta.
Gli altri vivevano di fegato e reni
bevevano il freddo sangue ed era, quella passata qui, una bella gioventù.
E bella e rapida venne anche la loro morte:
furono gettati tutti insieme nell'acqua.
Ah, quei musini come squittivano!

Gottfried Benn, 1912

13.2.06

Insensatez



How insensitive I must have seemed
when he told me that he loved me...
how unmoved and cold I must have have seemed
when he told me so sincerely
[...]
Now he's gone away and I'm alone with the memory of his last look
vague and drawn and sad
I see it still, all his heartbreak in that last look

A.C. Jobim, 1962

9.2.06

K-hole


Dragonfly kiss your tail
precious robot built so frail
universe of milk and ember
your hot kiss in mid december
what's god name i can't remember
through the crack eye lovely weather

CocoRosie, 2005

8.2.06

Poptones



Guido verso la foresta in una macchina giapponese
la puzza della gomma sull’asfalto
Il senno di poi non mi ha fatto bene
sono qui nudo nel fondo del bosco
la cassetta suona melodie pop

Non posso dimenticare l’impressione che hai fatto
hai lasciato un buco dietro la mia testa

Non mi piace nascondermi in questo fogliame e torba
è umido e sto perdendo il calore corporeo
la cassetta suona melodie pop

Questo cuore sanguinante
che cerca CORPI
ha quasi ferito il mio orgoglio

La cassetta suona melodie pop


Public Image LTD, 1979

28.1.06

Se ora tu bussassi alla mia porta


Se ora tu bussassi alla mia porta
e ti togliessi gli occhiali
e io togliessi i miei che sono uguali
e poi tu entrassi dentro la mia bocca
senza temere baci diseguali
e mi dicessi "Amore mio,
ma che è successo?", sarebbe un pezzo
di teatro di successo

Patrizia Cavalli

23.1.06

Bright red


Did she fall or was she pushed?
Your shirt on my chair
Your shirt on my chair
I'll be with you.
I'll be there.
I'll never leave you
Your shirt on my chair.
Come here little girl.
Get into the car.
It's a brand new Cadillac.
Bright red.
Your words in my ears.
I'll be with you.
I'll be there.
I'll never leave you.
Wild beasts shall rest there
And owls shall answer one another there
And the hairy ones shall dance there
And sirens in the temples of pleasure.
Your shirt on my chair.
I'll be with you.
I'll be there.
I'll never leave you.
Your shirt on my chair.

Laurie Anderson, 1994

19.1.06

Don Giovanni


Copertina interna suddivisa in versi numerati, produzione visibilmente straniera e straniante, rime estenuanti: il disco più bello di Battisti è un tour de force emotivo, inadatto per la maggior parte di chi vi si accosta con aspettativa.
Un senso incombente di fastidio si respira qua e là, gli squarci lirici sono spesso seguiti da rovesci beffardi, la spigolosità delle composizioni e dell’arrangiamento raffredda le caldane di chi vuole Don Giovanni un’entità solo seducente (che conduce a sé, alla latina). Al contrario, il disco strattona e riavvicina, tira e butta via, senza nessun desiderio di compiacimento (“Qui Don Giovanni, ma tu dimmi chi ti paga”).
C’è spesso una perfidia non violenta che però ferisce, una mancanza di riguardo, a volte, come se smitizzare i sentimenti fosse un’operazione senza conseguenze e l’orecchio di un ascoltatore fosse aprioristicamente a prova di sanguinamento. Magari…
Esiste invece un languore aspecifico, si sa, lo si nomina per non viverlo. Per questo motivo l’ansia di un ascolto porta subdolamente al rilassamento letargico che ne consegue. Il disco dunque appare un pieno di farraginosa e stancante bellezza, che seduce e abbandona, e si ripiglia le forze e quella parvenza di appagamento che sembrava aver lasciato dentro.

Don Giovanni (Battisti-Panella)
Non penso quindi tu sei

questo mi conquista
L'artista non sono io
sono il suo fumista
Son santo, mi illumino
ho tanto di stimmate
Segna e depenna Ben-Hur
sono Don Giovanni
rivesto quello che vuoi
son l'attaccapanni
Poi penso che t'amo
no anzi che strazio
Che ozio nella tournée
di mai più tornare
nell'intronata routine
del cantar leggero
l'amore sul serio
E scrivi
Che non esisto quaggiù
che sonol'inganno
Sinceramente non tuo
sinceramente non tuo
Qui Don Giovanni ma tu
dimmi chi ti paga


Lucio Battisti, Pasquale Panella, 1986

11.1.06

Cambio di rotta



Poco di me ricordo
io che a me sempre ho pensato.
Mi scompaio come l'oggetto
troppo a lungo guardato.
Ritornerò a dire
la mia luminosa scomparsa.

Patrizia Cavalli, Le mie poesie non cambieranno il mondo, 1974

10.1.06

Hopper



Ombre lunghe: presenza di sole.

Vetrine, insegne: presenza di commercio, di persone.

Ecco l'universo rappresentato senza il filtro della coscienza: tutto brilla col non esservi.

9.1.06

Buon anno


Non è colpa mia, non è colpa mia
lo schianto della vita è come un lampo sullo schermo
Le strade sempre più vuote
e i nastri ripetono addio
stringimi ancora più forte
adesso ho paura e non ti vedo più
Non è colpa mia, non è colpa mia
lo schianto della vita
è come un lampo sullo schermo

Faust'O, 1980

8.1.06

Una strada del Wisconsin


Come lentamente salirò le scale
per non giungere troppo presto
a quel sonno che mi rapirà
agli inganni di una giornata
cresciuta per me fra strade e parole

Patrizia Cavalli , Le mie poesie non cambieranno il mondo, 1974

7.1.06

Vurria addeventare


Vurria addeventare chianellette e po' stare sotto a 'sti piere, ma si lu sapisse pe' straziarme tu currenno jsse.
Vurria addeventare cetrangolo pe' stare a 'sta fenesta,ma si lu sapisse pe' darme morte seccare me farrisse.
Vurria addeventare specchio pe' te mirare pe' te mirare,ma si lu sapisse a quacche vecchia brutta me darrisse.
Vurria addeventare ghiaccio pe' non bruciare accussì forte,ma si lu sapisse cu' st'uocchie ardente tu me squagliarrisse.


Anonimo del '600

Io vorrei diventare Hiroshi

5.1.06

Farewell at dawn




Moritz von Schwind, Farewell at Dawn
1859 Oil on cardboard, 36 x 24 cm
Nationalgalerie, Berlin

2.1.06

God Song

What on earth are you doing God? is this some sort of joke you're playing?
Is it 'cause we didn't pray? Well I can't see the point of the words without the action
Are you just hot air breathing over us? and overall is it fun watching us all?
Where's your son? we want him again
Next time you send your boy down here give him a wife and a sexy daughter - someone we can understand
Who's got some ideas we use really relate to we've all read your rules - tried them.
Learned them in school then tried them
They're impossible rules you've made us look fools
Well done God but now please don't hunt me down for heaven's sake!
You know that I'm only joking. Aren't I? Pardon me - I'm very drunk
but I know what I'm trying to say
And It's nearly night time and we're still alone waiting
For something unknown
Still waiting
So throw down a stone or something
Give us a sign for Christ's sake

Robert Wyatt, Phil Miller - 1973

30.12.05

Il sogno



il garbo e l’astensione vengono prima,
dopo passa il treno delle campanelle
coi cani che gli abbaiano appresso
poi quando è passato ritorna un silenzio inquieto
e la casa da ripulire da soli

29.12.05

Quell'oscuro oggetto del desiderio



Onestà intellettuale, please. Come Mathieu con la ballerina di flamenco.
Liberandoci dal desiderio non siamo noi forse luminosi ma spenti? Allora perché compatirsi?
Nel film "Quell'oscuro oggetto del desiderio" le due attrici che impersonano Conchita (Carole Bouquet e Angela Molina) sono differenti ipostasi di un desiderio che è disperatamente tenebroso, e Mathieu (Fernando Rey) vi si abbandona con pulsione e integrità, sfidando il terrorismo dei sentimenti a testa alta, come un vecchio dignitoso.
(nella foto, io e mirco)
Luis Bunuel, 1977

28.12.05

Mi basterebbe un centro di gravità provvisorio



Come Malevic teorizzò e mise in pratica la percezione suprema della visione intesa come purezza geometrica di forme, io mi ritaglio un futuro di bellezza astratta e precisa entro cui muovermi, come in un fluido vetroso dai corridoi pervi e a me dolcemente noti. Visto da lontano, però, questo tetro addotto è di una metafisica bruttezza, cui del resto sono abituato (percependomi).

Kazimir Malevic, Composizione suprematista: bianco su bianco, 1918 – olio su tela , 79,4x79,4 cm, New York, Metropolitan Museum of Modern Art.


21.12.05

Rock Bottom


Dopo The End Of An Ear, geniale rapsodia possibilista e post-dadaista che ci regala tra l’altro due tra le più belle cover mai concepite (due versioni antitetiche di Las Vegas Tango di Gil Evans), Robert Wyatt ci pensa su e fonda i Matching Mole, espressione quasi omofona di quella francese ‘Machine Molle’, cioè Soft Machine, lo stellare gruppo di esordio. Due dischi di sostanziale eccellenza, anche se di ‘freddezza’ ricercata, percettibilissima sin dal primo ascolto, cioè Matching Mole e Matching Mole’s Little Red Record, poi l’incidente a casa dell’eccentrica Lady June che lo ha visto catapultarsi dal quarto piano e frantumarsi gli arti inferiori.
È giugno ’73 (come l’ombrosa canzone di De André) e del “bipede batterista” – come Wyatt stesso si definisce riferendosi al periodo pre-incidente – restano la curiosità, l’irriducibile ricerca e l’assoluta poliedricità. Si aggiunge a tutto ciò un’emotività incontenibile e una predilezione spiccata per le scale oblique - le ‘black notes’ che ricorrono in molti dei suoi motivi, nonché le melodie sospese, tracciate su sezioni ritmiche irregolari ed ‘interne’.
Molti definiscono Rock Bottom un disco ‘acquatico’, riferendosi al fatto che nei testi, nel titolo e anche nella copertina ricorre l’immagine del mare e dei suoi fondali misteriosi. In più il disco è stato composto per la maggior parte durante un soggiorno di Wyatt alla Giudecca (Venezia) e le atmosfere evocano un ambiente marino e un senso indefinibile di sfocato e attutito che ricordano la Porpoise Song dei Monkees. La nuova copertina – qui riportata – disegnata sempre dalla moglie (Poor Little) Alfie, sottolinea questo mood, avvalorando l’intuizione.
Ma Rock Bottom va oltre, è un disco di ispirazioni pressoché ubiquitarie, di spiccata impostazione minimalista (pur essendo in un certo senso cesellato) e di sperimentalismo ‘interiore’, che proietterà la sua importanza decisiva sull’arte a venire.“Sono un minimalista vero, perché produco poco” (Wyatt). La sua discografia, ormai finalmente disponibile in CD, è per questo motivo essenziale, e non ci sono scuse per non procurarsela in toto.


Robert Wyatt, 1974

20.12.05

Due recensioni meno minimaliste del solito


Sin dagli esordi il fantomatico “North Louisiana's Phenomenal Pop Combo” ha contribuito ad azzerare i codici canonici della scrittura musicale, da un lato ‘destrutturando’ il suono in pezzi minimi e brut (eliminando e nel contempo esacerbando il concetto di melodia), dall’altro smitizzando il baraccone delle liriche che tanto impressionava l’impressionabile pubblico di quegli anni.
Si potrebbe pertanto parlare di musica astratta, in una concezione più pittorica che musicale in senso stretto, che richiama tanto Mondrian quanto Twombly, se non fosse per quell’insistente rimando alla corporeità che si respira nel disco (skratz… skratz…), che fa pensare piuttosto a Bacon, rendendo il disco una rassegna sulle possibilità estetiche del bizzarro e dell’assurdo.
Nel tessuto delle citazioni l’ascoltatore troverà echi di jitterbug, melodie operistiche, danze funky, cori natalizi, orientalismi grotteschi, voci strapazzate, strumenti suonati sempre in modo ‘laterale’, e, soprattutto, una straordinaria libertà compositiva, che sarà da allora in poi la cifra del gruppo e porterà il loro naturale percorso a capolavori come Not available o Duck Stab. (Come quasi sempre accade) è un peccato cercare di definire e comunque parlare troppo di un disco così bello e misterioso, leggero e profondo, sovraccarico e, in qualche modo, ‘sfuggente’. Meglio ascoltare.


The Residents, 1974


Questa recensione non è mia (potendo scegliere, infatti, io l'avrei scritta in tedesco)...
"Their anatomy was half-human, half-animal, and they were confined in a low-celinged, windowless and oddly proportioned space. They could bite, probe, and suck, and they had very long eel-like necks, but their functioning in other respects was mysterious. Ears and mouths they had, but two at least were sightless. One was bandaged. The left-hand figure had the hairstyle of a female jail-bird. At shoulder-level it had what might have been mutilated wing-stumps. An inch or two below these there was drawn tight what might have been either a shower curtain or a pair of outsized pajama trousers. Set down on what looked like a metal stool, the figure was trashing round as if to savage whatever came within biting distance. The central figure, anatomically somewhat like a dis-feathered ostrich, had a human mouth, heavily bandaged, set at the end of its long, thick tubular neck.
What that neck might have looked like without the bandage was indicated by the right-handed figure. It had big ears at the corner of its mouth, and was able to open that mouth to an angle of about ninety degrees. It's one visible leg was as much a sofa-leg as an animal leg, and the patch of grass on which it stood was nearer to a bed of nails than to the shaven lawns of Oxford and Cambridge.
Common to all three figures was a mindless voracity, an automatic unregulated gluttony, a ravening undifferentiated capacity for hatred. Each was if as cornered, and only waiting for the chance to drag the observer down to its own level."
John Russell, 1971
Il corpo al centro, a testa in giù, suggerisce una crocifissione invertita di Cimabue, che Bacon immaginava come un verme che strisciava e ondulava alla base della croce.
Francis Bacon, Three Studies for Figures at the Base of a Crucifixion, 1944
Oil and pastel on hardboard each panel 145x128 cm. The Tate Gallery, London

A view from a view


Si dovrebbe viaggiare e vivere soltanto di giorno

Tetradecalogia - Re Giorgio, 2005

19.12.05

Rimini



Andrea s'è perso, s'è perso e non sa tornare.

Fabrizio de André, 1978

15.12.05

Volume 8



E quando poi sparì del tutto a chi diceva "È stato un male", a chi diceva "È stato un bene" raccomandò "Non vi conviene venir con me dovunque vada".
Ma c'è amore un po' per tutti, e tutti quanti hanno un amore sulla cattiva strada.

Fabrizio de André, 1978

14.12.05

Esistenzialismo II



Indefinibile.

Gerard Damiano, 1973

Esistenzialismo I




















Definitivo.

Jean-Paul Sartre, 1938

11.12.05

Il tempo dei cavalli ubriachi



vent’anni fa sapevo di questo dolore
e vagheggiavo il suo sapore di vittoria
oggi però mi accorgo
che le ciliegie neglette dal sole
fanno davvero schifo


9.12.05

A promise



hold your head up high, and when you watch me fall please look back for the last time

Xiu Xiu, 2003

8.12.05

Le Fantôme de la liberté



Uomo: -Dobbiamo celebrare il Caso che ci ha fatto incontrare
Frate: - Celebrare Chi?
Uomo: - Il Caso
Frate: - Ah...

Luis Bunuel, 1974