Disperata società associazionista, ferente politica di acquegrasse, pubbliche istituzioni esiziali, odioso potere in mano alle mani, e dentro alle stanze il gesto zen di spegnere. Un utopico “per sempre”.
L’angariato ricominciare, il crudele rimando ai sentimenti, che sono il facile rifugio di ogni peccato.
Dolorifica mancanza di dignità, straziante mondanità.
Per chi non è normale spegniamo una luce.
Traffici trascendentali, eterne diatribe di muffe incallite e facce impagliate in movenze segnate.
Spengo la luce al mondo con troppi soli e troppe sole.
Il disumano passo delle religioni furbette, l’infinita povertà dei ricchi di spirito, e le bellurie di chi non si può permettere neppure una visione politica, ma vive lo stesso. Buona notte all’indulgenza e a chi ride perché ha capito come si vive a ridosso delle cose. Fino alla morte.
L’eterno divenire, che poi non è eterno e non è divenire. La foresta delle ambizioni con le corde e le liane del bel pensiero e della produzione e le infinite uscite di sicurezza per tornare a casa. Lo sfascio della droga e di chi perde, e non risale. La scelta dell’immoralità.
Spegniamo la luce all’obesità senza immondizia, alla cultura senza colore, alle giornate piene di aria da rinnovare. Al buio ritroviamo l’abbondanza, la sicurezza delle cose che percepiamo. Possiamo dirci uguali, se non altro a noi stessi. Ogni pezzo di corpo uguale, ogni vestito.
La dignità torna ad essere commisurata a quello che siamo, e non a quello che è visibile. Riconoscersi unità nonostante le lacerazioni e i troncamenti. Nel buio la pacificazione delle menti.
Il gravissimo peso delle colpe non lavate, il sacrificio perso per mani distratte, il sentimento mal riposto in altari spioventi e in persone sfuggenti. Il dolore puro nei movimenti e nella ruota degli occhi, apparente e profondissima. La malattia e l’ineluttabilità del pianto dei bambini. L’inesorabilità delle leggi di ogni natura.
Spengo la luce al positivismo e alla ragione, perché nessuno ha ragione, e chiudo le imposte delle cose che non salvano, perché partorite nel travaglio della mente, e dunque corrotte.
L'inevitabile caos dei contatti falsi, l’insoffribile falsità del concetto di anima, la moltitudine che si propaga. Queste luci moleste conviene spegnerle una volta per tutte, perché tutti ci si riconosca parte di un sistema misterioso e mortale, e perché alla fine qualcosa di buono ritorni, e non solo la pazzia e la sostanziale solitudine cui tutti naturalmente tendiamo.
L’angariato ricominciare, il crudele rimando ai sentimenti, che sono il facile rifugio di ogni peccato.
Dolorifica mancanza di dignità, straziante mondanità.
Per chi non è normale spegniamo una luce.
Traffici trascendentali, eterne diatribe di muffe incallite e facce impagliate in movenze segnate.
Spengo la luce al mondo con troppi soli e troppe sole.
Il disumano passo delle religioni furbette, l’infinita povertà dei ricchi di spirito, e le bellurie di chi non si può permettere neppure una visione politica, ma vive lo stesso. Buona notte all’indulgenza e a chi ride perché ha capito come si vive a ridosso delle cose. Fino alla morte.
L’eterno divenire, che poi non è eterno e non è divenire. La foresta delle ambizioni con le corde e le liane del bel pensiero e della produzione e le infinite uscite di sicurezza per tornare a casa. Lo sfascio della droga e di chi perde, e non risale. La scelta dell’immoralità.
Spegniamo la luce all’obesità senza immondizia, alla cultura senza colore, alle giornate piene di aria da rinnovare. Al buio ritroviamo l’abbondanza, la sicurezza delle cose che percepiamo. Possiamo dirci uguali, se non altro a noi stessi. Ogni pezzo di corpo uguale, ogni vestito.
La dignità torna ad essere commisurata a quello che siamo, e non a quello che è visibile. Riconoscersi unità nonostante le lacerazioni e i troncamenti. Nel buio la pacificazione delle menti.
Il gravissimo peso delle colpe non lavate, il sacrificio perso per mani distratte, il sentimento mal riposto in altari spioventi e in persone sfuggenti. Il dolore puro nei movimenti e nella ruota degli occhi, apparente e profondissima. La malattia e l’ineluttabilità del pianto dei bambini. L’inesorabilità delle leggi di ogni natura.
Spengo la luce al positivismo e alla ragione, perché nessuno ha ragione, e chiudo le imposte delle cose che non salvano, perché partorite nel travaglio della mente, e dunque corrotte.
L'inevitabile caos dei contatti falsi, l’insoffribile falsità del concetto di anima, la moltitudine che si propaga. Queste luci moleste conviene spegnerle una volta per tutte, perché tutti ci si riconosca parte di un sistema misterioso e mortale, e perché alla fine qualcosa di buono ritorni, e non solo la pazzia e la sostanziale solitudine cui tutti naturalmente tendiamo.