31.1.07

For absent friends


Dove siete amici persi, che non sapete più nulla di me e di quello che sono ora..
Com'era vero quando da piccolo pensavo ai cerchi e mi veniva la febbre: era una visione della ruota eterna e pesante, lenta nel suo cigolio
...meccanismo fatto di croci
coi suoi fantocci attaccati
che pendono dai suoi raggi
girano coi suoi ingranaggi...
E chissà cosa fate voi, e cosa siete diventati, e se ancora qualcosa di quello che conosco c'è ancora.
Vorrei dare a una bottiglia un testamento, e vederla allontanarsi sul mare, toccare l'imprevedibile e arrivare a voi, vivi o morti, sperando che mi tornerà indietro da vecchio, e allora forse sì potrei sorridervi.

10.1.07

cLOUDDEAD


Ecco il momento. Le pupille si aprono, vogliono trovare un muro di colore, una nuvola. Ma non so parlare del primo disco dei cLOUDDEAD.
Era il 2001, e lo scenario hip-hop un punto fermo, spazzato per sempre.
L'opera è composta da quasi 74 minuti di musica discontinua, rapsodica, ciclica ed estenuante. Sei suite divise ciascuna in due movimenti, ma solo per modo di dire: i cambi di registro sono tanti e tali da relegare questa definizione al novero dei sopravanzi.
Dentro: i Pere Ubu? I Residents? I Throbbing Gristle? Così hanno scritto, e io non me ne interesso.
Così come non so definire Third dei Soft Machine, che è stato sempre scritto in me, ora non trovo alcuna espressione per capire qual'è il filo reale e mensurabile che mi leghi a questa psichedelia ondivaga e disturbata. Quella copertina è così lontana...

Ecco che ho scritto qualcosa dell'album, e subito torna l'ottundimento, e soprattutto la dipendenza. Degli oggetti dalle sensazioni e viceversa. Come scrollarsi di dosso 30 anni di cascami e lasciarsi toccare di sfuggita? Perché non si vuole essere centrati stavolta, si vuole essere sfiorati. Perché è quello il contatto più struggente.

cLOUDDEAD, 2001