24.7.06

Ultra-cultura ultra-(lolli)pop (I) - Le femmine aggressive



"Lo scompiglio adesso c’è
dentro nei progetti tuoi
tutto all’aria getto io
o pover’uomo
Così tenero con me
così burbero con chi
non voleva dire sì
come me
Mi credevi tutta tua
mani e piedi stretta a te
e vedermi volar via
che sorpresa
Mi piaceva star con te
ma tu eri solo un flirt
era solo un viaggio

o un week end
Volevi un amore grande
volevi un amore grande
quelli che cambiano una vita
è capitato proprio a te
Pover’uomo cosa fai
non mi dire o mamma mia
che davvero piangerai
non è il caso
Così maschio quando vuoi
un pulcino adesso sei
hai sbagliato tutto ormai
su di me
Volevi un amore grande
volevi un amore grande
quelli che cambiano una vita
è capitato proprio a te"

(Loredana Berté - Volevi un amore grande)

Uno spray in mano, la gommina nei capelli. Vestirsi come Nina Hagen e parlare di argomenti tabù. Gli slogan, il gergo. Il femminismo masticato e sputato, un’ironia ostentata, e soprattutto la “grinta”.
Le femmine degli anni settanta/ottanta sono morte per sempre, sepolte nella carta straccia e nella mente straccia di pochi, uccise annegate dal dilettantismo e dalla disorganizzazione estrema che ha contraddistinto la loro esistenza.
Un tempo infatti c’era un afflato naïf che ispirava le confezioni (messe a punto come sempre dagli uomini e attuati dalle donne sfruttate, ma che pure avevano una dignità), perché c’era la vita all’aria aperta e un’attenzione più spostata agli eventi che agli oggetti. Persino lo squallore, oggi tanto temuto e odiato, era in un certo senso avvertito ed accettato, perché inscritto in una filosofia che allo squallore non dava l’importanza che gli si dà adesso.
Oggi il professionismo ha risucchiato in sé tutte le energie di chi crea e di chi consuma cultura (?) pop.
Il pressappochismo non è più ammesso. Persino il trash (es. er Monnezza e colleghi) deve essere rimontato e mondato. Starsky e Hutch devono essere più belli e le Charlie’s Angels più atletiche. Insomma, bisogna ripulire quell’alone squallido che infesta quei personaggi tanto sublimi.
La panza dei giocatori di calcio dunque, il look arrangiato alla bell’e meglio mezz’ora prima della diretta (in questo consisteva la libertà di un concetto di spettacolo che era leggerezza) sono cancellati e rifatti da capo, con l’orrore dei nostri tempi nella mente.
Oggi tutto è livido e plumbeo. Una trasmissione di intrattenimento diventa così un’estenuato tour de force di gare al più bravo, in frenetico e costante zapping umano. Lo squallore tanto evitato si trasforma così in orrore, allegramente.

[Jo Laudato scrive, a proposito di Old Boy, un bel film del coreano Park Chan-wook: "Regia, montaggio, fotografia, colonna sonora sono praticamente perfetti ma proprio per questo risaltano l’evidente blockbusterizzazione del cinema contemporaneo che ormai non lascia nulla al caso assestandosi su standard di preoccupante professionalità"].
Il nuovo canone ultraprofessional accontenta gli occhi e il cervello di chi si accosta alla vita con un senso di gravità abissale, e riesce persino a divertire le nuove generazioni così spaventate e fuori di sé.

Di contro, questo sistema annulla la fortuna di quei personaggi che potrebbero diventare giustamente famosi ed amati pur essendo tecnicamente eccepibili (Gabriella Ferri oggi verrebbe calciata nel culo. A questa preferirebbero Dolcenera e la depressione a lei correlata) e che in fondo rappresenterebbero l’unico tratto d’unione tra il pop e la cultura pop.
Il discorso sembrerebbe avere qualche incrinatura: ad esempio un tempo anche le canzonette erano suonate con le palle, e non con i computer, e la sigla di un cartone animato te la ricordavi per sempre, e magari ora il marabù di turno ti remixa un riff ispirato a quello squallore reinterpretato.
Sembra un’eccezione, ma non è così. È solo cambiato il centro di attenzione del tutto. Oggi la sigla dei cartoni animati non è un target interessante, non è traino di una massa, i bambini oggi sentono le voci e ricollegano le voci agli schemi, e that’s all. Si lavora su altro, sulla pubblicità, sulla comunicazione, sugli intrattenimenti “adulti”. Quando vorranno plagiare anche i bambini introdurranno le sigle con gli ultrasuoni, ma per ora si accontentano di cambiare il senso estetico di un bambino modificando quello dei genitori (tattica molto più facile, in fondo, e di sicuro risultato).
Insomma, ora è un lupanare, ma chi è stato a cambiare così le cose? Chi è stato il primo?
Un gioco divertente può essere rintracciare un capro espiatorio, uno spartiacque che ha decretato l’inizio della guerra al dignitoso squallore.
Mi viene in mente una possibile risposta, e la butto là: Whitney Houston.
Un brutto giorno qualcuno tentò di spacciare i suoi conati vocali parossistici per pezzi di bravura ed elevò i suoi ultrasuoni a canone estetico, e subito quei suoni striduli furono i termini di una nuova competizione.
Mariah Carey riuscì vincitrice, poiché provò a superarli, e le due gareggiarono per un po’ in un crescendo di virtuosismo nauseabondo, tale che in confronto un disco degli Yes fa pensare al tarocco della Temperanza.
Da allora una sequela di ultrasuonare sgomitanti è avanzata, terzo stato involuto e senza ideazione (altro che le femmine incazzate del rock anni 70), e la radio non le fa stare mai zitte, riempiendoci le strade di infinite variazioni sul tema della melodia (che in fondo è il sottogruppo meno interessante della musica).
Cosa rimane delle femmine bastarde degli anni ’70, che volevano essere sporche e approssimative come i maschi dell’epoca? Un pugno di canzoni:


Fatelo con me
Non so dormire sola
Maschiorama
Codice uomo
Parlate di moralità
Meglio libera
E sputo in faccia ai giorni tuoi
Così se ti va e questo finché mi andrà
S.E.S.S.O.
Un click d'ironia
Fammi toccare
(giochino: due dei titoli me li sono inventati. Quali?)


Per il resto, tanta nostalgia per il dilettantismo e la velleitarietà.
Leggete questa scheda di Jo Squillo, recuperata in rete:


“Vero nome Giovanna Coletti, appartenente alla new wave milanese, nell’ottobre del 1979 formò assieme ad altre tre ragazze il gruppo Kandeggina Gang, dall'accentuato carattere punk. I testi e i loro atteggiamenti, spudoratamente contro il maschilismo, scandalizzarono i milanesi; fra l'altro durante l'8 marzo 1980 rivendicando la distribuzione di tampax gratis, cominciarono a lanciarli macchiati di rosso durante un loro concerto in piazza del Duomo. Il gruppo incise per l’etichetta Cramps il 45 giri su vinile colorato Sono cattiva/Orrore. Nel giugno 1980 Jo Squillo è stata capolista del Partito Rock che si presentò alle elezioni comunali. Lo stesso anno partecipò in Germania al grande raduno di Francoforte Rock contro il Razzismo. Nel maggio del 1981 uscì il suo secondo 45 giri Skizzo Skizzo/Energia interna, pubblicato sull'etichetta indipendente 20th Secret, autogestita con il gruppo dei Kaos Rock, 4 mesi dopo è la volta del suo primo album, Girl senza paura.”
(Dal sito:
http://digilander.libero.it/gianni61dgl/josquillo.htm)

Non vi fa venire le lacrime agli occhi (non per lo sforzo defecatorio…)?

18.7.06

Poco zucchero


Opera sconfessata ed entrata nel numero delle cose della memoria (e basta), Poco zucchero di Faust'O appare all’orecchio dell’ascoltatore moderno un’opera accattivante.
Dimesse le attenzioni per la confezione new wave, che pesca nella pozza arida di un tempo passato in tutti sensi, si apprezza la spinta creativa e assertiva dei testi e delle scelte sintattiche, il piglio freak e il senso generale di convinzione, più a fuoco del precedente (e divertentissimo) “Suicidio”.
Gli arrangiamenti sono come sempre attraenti, in linea con il glamour del disco (a cominciare dalla copertina e dalla grafica radicale). In particolare la sessione di fiati contrappunta le ritmiche sincopate e gelide (Cosa rimane, irresistibile, Kleenex, in una versione désengagée, Funerale a Praga, drammatica e definitiva).
Le chitarre stendono un tappeto di accordi che talvolta si incrociano e risultano epiche (In tua assenza, capolavoro del disco, dai più congelato come scialbo remake di “Breaking glass” di Bowie, o ancora Il lungo addio, struggente capitolazione di un discorso), mentre l’elettronica stende al tappeto ogni stoicismo, sparpagliando il dubbio manicheo che la scelta dello stile sia o meno una chiara impronta dell’onestà dell’ispirazione.
Col senno di poi tutti gli allarmi rientreranno e si tenderà a farne cosa piatta, immeritatamente.
Cosa rimane?


Faust'O, 1979

7.7.06

Easy to slip away


It’s my fault too: I play a hermit’s role
Hardly ever seem to get outside these days
So, dear friends, as we grow on we feel to grow away,
CAN ONLY LIVE IN THE HOPE THAT SOME DAY
IT WILL ALL RETURN,
BUT IT’S SO EASY JUST TO SLIP AWAY
EASY JUST TO SLIP AWAY…


Peter Hammill, 1973

5.7.06

Twin Infinitives


Un monumento alla mela marcia (nel girone filosofico dei recuperisti e gli ottimisti del mio cazzo).
Il solco del disco è pieno di polvere, e il suono è ottuso. Bisogna aspettare che una voglia di pulizia e di rinnovamento arrivi a estrarre il corpo eccetera dalla algogena sporcizia interiore. Per ora però non se ne parla
Un’acredine è giustificata quando è imprecisa e inesatta, quasi illogica, come un’indigestione di vomito. I pezzi di vetro stanno là in mezzo, per terra. Un corpo è rovesciato. L’estate e i soprusi, il sonno e la mancanza di sonno. Questo è Un Disco Per L’Estate.
A che pro parlare di blues e di smembramenti? Il disco dei Royal Trux si chiama Twin Infinitives ed è definitivo e impossibilista. I suoni sono dolorosi. Altro che infinitivo.
Ogni pezzo è un’ischemia. È un disco per gli innamorati, quelli cattivi però.
L’innamoramento finisce. Nei cuori discreti risiede solo l’amore, provvido e tenace. In alcuni casi fertile. Al cuor gentile ripara sempre amore, nel dolce trascorrere dei tempi, tra un trasalimento e l’altro. Il mondo è stilnovista.

E l’innamoramento finisce per tutti. O quasi. Chi fa eccezione se ne vada fuori, e si porti appresso questo disco, e non rompa i marroni alle persone che vogliono dimenticarsi quanto è bello essere per sempre innamorati. Chi è innamorato per sempre è per sempre moribondo. Lasciatelo solo.
Twin Infinitives, 14 pezzi. Una colonna sonora per la vita o per la morte, si può scegliere, è un disco libero, nonostante sia costantemente trafitto dalle forche orribili.
Carica iconoclasta, sì sì, lo so, pietra miliare, “Si!” joyciano alla vita, magari… andatevi a leggere questa recensione, che è scritta bene:
http://www.ondarock.it/pietremiliari/twin.html
Che almeno il mio blog serva a qualcosa.
Io, per me, dico che spero che il disco non finisca mai e tutto il resto finisca presto.


Chances Are The Comets In Our Future
Chances are doors that just open up
I don't just carry for nothing
Ten tons of rain in a plastic cup
Tears unknown that fill oceans
Chances are the comets in our future
While others go on living in the past
The future seems farther away than Jupiter
Does appear through the telescopic glass
You can move so many, many times
Our home is everywhere we've been
Some people like to show humility
Others live in dramatic scenes on ships
Instead of feeling their own dealing and partake
They grow invisible as their soul starts to slip
Away from the center of illumination
That old steel-toothed border upstairs

Royal Trux, 1990