30.8.06

L'estate sta finendo



La bellezza comincia a non dirmi più niente.
Nemmeno il significato.
La tensione all'assoluto diventa sempre più una ricerca del bar aperto più vicino.
Da nord a sud, da est a ovest, sotto queste stelle o sotto paglie intrecciate, tutti stanno, tutti si trasformano, poi, e cominciano la loro traiettoria.
Tra poco torneranno a scuola i bambini, con gli odori dei libri nuovi che viaggeranno sull'autobus con loro, per le strade che altri occhi vedono caotiche.
La bellezza tornerà a posarsi ovunque, e a tentare un immagine, un contatto, un conato.
Non resta che lasciarsi andare, dicono tuttissimi.
Avrò il coraggio di non lasciarmi convincere?

21.8.06

Stare fuori


Chi sta al margine vede più cose contemporaneamente, essendone però distante (‘blow back, derelict wind’ – Beck). Chi sta al centro deve girarsi tutto intorno per guardare, ma è in mezzo ad ogni cosa.
C’è una tendenza diffusa a volersi buttare (è un po’ l’estate, dicendola tutta, che spinge i timidi a cambiare la muta e farsi farfalloni), e a fare entrare gli altri nella propria sfera personale, dal momento che ormai non c’è più nulla di personale, e dunque tanto vale esibirsi un po’.
L’atteggiamento più funebre, invece, è come sempre quello di fingere. Chiudersi in casa o nel guscio per farsi dire xyz. Un’azione positiva infatti può essere anche una molotov: la morte vera è nella menzogna inesorabile (che diventa menzogna sociale e astratta a un tempo, come piacerebbe a Gide).
L’alternativa scomoda è una solitudine un po’ satirica, senza vergogna e con molta emotività. Stare soli, un po’ come dire stare fuori…

Stare da soli è fare da sè

Un po' per voglia sì, ma un po' perchè
E intanto sale il conto della vita

Tu che la tua sorte non l'hai mai capita
Stare da soli è terra masticata
Ributtare nei polmoni una canzone appena nata
Fare l'amico farsi compagnia
Tendere agguati alla malinconia
Che sia così che va la vita ?
Soli, un po' come dire stare FUORI
Un po' più che un'arte stare soli
Volere bene al tempo
Che ti batte e che ti lascia fuori
Ridere soli è cosa che non va

Come pure fare a calci con la verità
E a mano a mano che si piega il sorriso
Mostrare tutti i tuoi denti al Paradiso
Che sia così che va la vita ?
Soli, un po' come dire stare fuori
Un po' più che un'arte stare soli
Volere bene al tempo
Che ti batte e che ti lascia... fuori,
è più di un anno stare soli

Più di un inverno stare
fuori
Più della faccia di un amore
Che non ti vuole e che ti lascia
fuori.

Ivano Fossati, 1982

3.8.06

Hallo spaceboy


Spaceboy, you're sleepy now
Your silhouette is so stationary
You're released but your custody calls
And I want to be free
Don't you want to be free
Do you like girls or boys?
It's confusing these days
But moondust will cover you
Cover you
This chaos is killing me
So bye bye love
This chaos is killing me
And the chaos is calling me
Yeah bye bye love
Good time love
Be sweet sweet dove
Bye bye spaceboy
Bye bye love
Moondust will cover you


David Bowie, 1995

Space age love songs, “nuove modernità” cantava Diana Est. E pensare che Starman ormai è stata schiacciata dalla litania impavida della merdevisione. “Voglio essere libero”.
Spaceboy you’re sleepy now, your silhouette is so stationary.
Le furberie si sprecano, e gli inquieti si tritticano sulle gambe, sognano il freddo glaciale, la polvere di luna che li ricopra. Si sentono generosi di caos assassino, vogliono pesare sulle esistenze, incombere su qualcuno. Vessare, sfiancare, sfibrare, è il passatempo più ambito. Passa tempo. Togliere sangue al cuore.
Molti altri invece vogliono essere liberi davvero, e non ascoltano queste canzoni e non si fanno affascinare da questi alambicchi.
Le astruserie astronomiche (e astrologiche, per i più economici) sono solo pretesti. Gli Autechre fanno musica vuota. Chi ci vede il sublime è povero. Ma oltre questo cosa c’è?
Leggere Busi mi deprime. È troppo. Non mi va più di scrivere. Comincia l’estate vera.

2.8.06

The Devil in Miss Jones



Miss Justine Jones (Georgina Spelvin), dopo aver osservato il traffico scorrere lento in una giornata piovosa qualunque, chiude le tende, si guarda allo specchio, si sveste, entra nella vasca e si taglia le vene.
In un’aldilà imprevedibile (lo studio di una villa nobiliare, con un tavolo enorme e sedie ottocentesche) un gentleman distinto e dolcemente diabolico le offre da accendere e le concede di tornare in vita per provare i piaceri che si è sempre negata. La signorina Jones è zitella, stagionatella, non bella, e accetta l’esperienza propostale con qualche dubbio.
Tornata nell’aldiqua un personaggio, The Teacher (Harry Reems), la erudirà in anatomia e fisiologia, e un tassello alla volta madamoiselle Jones si libererà della sua corazza e precipiterà nella dannazione vera, quella del lasciarsi andare e seguire i propri sentimenti, attraverso esperienze sessuali esotiche e sempre più parossistiche (con un uomo, poi una donna, due uomini, un tubo da giardino, della frutta, un serpente).
Nel corso di questa sua discesa (o forse ascesa a un’origine inconsapevole) Frau Jones muta di lineamenti ed espressioni. Sempre più Medusa, i suoi capelli si arricciano, il trucco si fa sempre più pesante e disperato. Le sue prestazioni sempre più accorate e urlate. Il sesso è verboso, incontenibile, transustanziato negli oggetti e nei volti anonimi che le orbitano intorno. Il climax è assoluto, erotico come non mai. La musica di Alden Shuman è ispirata e romantica, a sottolineare la componente più negativa dell’atto più godurioso, e riporta alla mente le atmosfere rarefatte e speciali degli eventi speciali e rarefatti che diventano ricordo personale. Mentre si guarda il film ci si eccita con una malinconia panica, sì che il ritorno (a qualunque cosa) sembra un’odissea tragica, velata di una dolcezza animale ed istintiva.
Al termine di questo piccolo tempo concessole, la nostra eroina, al cospetto del gentiluomo luciferino, prova a chiedere la permanenza definitiva sulla terra così piena di sublimi sofferenze.
Ovviamente ottiene un rifiuto, e anzi una feroce condanna, oltre l’umana immaginazione: passare l’eternità a masturbarsi senza mai raggiungere l’orgasmo, chiusa in una cella con un uomo impotente e ossessionato dalle presenze che avverte intorno a sé.
Nel filone dell’esitenzialismo, questo film porno è la vetta ineguagliata della sua vocazione espressionista (cfr. la visione di Roquentin ne “La nausea”).


Gerard Damiano, 1972

1.8.06

Ultra-cultura ultra-(lolli)pop (II) – Bastardo dentro :)


Non sono contento della fine del bastardo dentro :), nonostante non ne avessi mai avvertito la rappresentatività, né il battito. Gli intellettuali dell’ultim’ora hanno lasciato nessuna allegria, nessuna macarena, e “Yo soy Candela” è già cicatrice, sostrato limoso. I cloni fanno tristezza a tutti, e sono causati dalla solita ostilità di chi potrebbe far qualcosa perché il pop diventi cultura e invece stanno a rompere le balle con i sofismi.
L’estate senza il bastardo dentro :) è quasi insopportabile. Odio l’avvicendarsi degli altri mitucci. Fa caldo, e nessuno sfogo… Mi annoio… Nemmeno un bastardo dentro :) per chiacchierar.
La nave affonda, bastardi, figli di zoccola, intellettuali, che il diavolo vi ammazzi nel sangue! Guardate cosa avete fatto! La hola si è fermata a mezzo stadio per colpa vostra, che incrociate le braccia e trasformate l’olio in sabbia! Mi fate rabbia!
Qualcuno ascolti il mio sfogo. Neanche internet è più lo stesso senza il bastardo dentro :) . Torna, torna da noi!
Non lasciarci in balia dell’ennesima estate al mare, con i rivoli di sudore e di grasso che cola. Tu eri così asciutto, bastardo dentro :) che ti muovevi nell’ombra di certe definizioni, negli ambiti più familiari! Sei così inarrivabile. Vorrei sposarti! Marcella Bella ci ha provato a farti un monumento un po’ più duraturo, ma tutti continuano a ricordarsela per quella orribile “Tanti auguri a te”…

Tu, dal tuo canto, non hai fatto niente per resuscitare, quando sei stato richiamato in vita… Ci siamo abbassati alla seduta spiritica e tu niente! Sei proprio una delusione, e lasci nel cuore (oltre al tuo ricordo) tanta tristezza per una modernità infranta. Senza di te la contemporaneità sarà sempre passato prossimo, al più.
Aspettiamo il prossimo mito che rimanga, perché ci siamo scassati la minchia degli addii. Vogliamo amare qualcuno per sempre.
Ti dedico questa canzone, ispirata alla tua dipartita.

Un giorno dopo l'altro
il tempo se ne va
le strade sempre uguali
le stesse case.
Un giorno dopo l'altro
e tutto è come prima
un passo dopo l'altro
la stessa vita.
E gli occhi intorno cercano

quell'avvenire che avevano sognato
ma i sogni sono ancora sogni
e l'avvenire ormai quasi passato.
Un giorno dopo l'altrola vita se ne va

domani sarà un giorno uguale a ieri.
La nave ha già lasciato il porto
e dalla riva sembra un punto lontano,
qualcuno anche questa sera

torna deluso a casa piano piano.
Un giorno dopo l'altro
la vita se ne va

e la speranza ormai
è un'abitudine.
[Luigi Tenco]

Non ti dimenticheremo mai.


Nota: Dopo aver introdotto la mia URL nella barra di quesito di "Google translate", il programma ha tradotto così una delle ultime frasi di questo post: "We wait for the next myth that remains, because we have scassati the minchia of the goodbyes". Che bello!