10.1.07

cLOUDDEAD


Ecco il momento. Le pupille si aprono, vogliono trovare un muro di colore, una nuvola. Ma non so parlare del primo disco dei cLOUDDEAD.
Era il 2001, e lo scenario hip-hop un punto fermo, spazzato per sempre.
L'opera è composta da quasi 74 minuti di musica discontinua, rapsodica, ciclica ed estenuante. Sei suite divise ciascuna in due movimenti, ma solo per modo di dire: i cambi di registro sono tanti e tali da relegare questa definizione al novero dei sopravanzi.
Dentro: i Pere Ubu? I Residents? I Throbbing Gristle? Così hanno scritto, e io non me ne interesso.
Così come non so definire Third dei Soft Machine, che è stato sempre scritto in me, ora non trovo alcuna espressione per capire qual'è il filo reale e mensurabile che mi leghi a questa psichedelia ondivaga e disturbata. Quella copertina è così lontana...

Ecco che ho scritto qualcosa dell'album, e subito torna l'ottundimento, e soprattutto la dipendenza. Degli oggetti dalle sensazioni e viceversa. Come scrollarsi di dosso 30 anni di cascami e lasciarsi toccare di sfuggita? Perché non si vuole essere centrati stavolta, si vuole essere sfiorati. Perché è quello il contatto più struggente.

cLOUDDEAD, 2001

1 commento:

Anonimo ha detto...

leggevo la recenzz sulle favolese nuvole rosa..guardate un po' cosa hanno scatenato qui
www.avanthop.blogspot.com