18.7.06

Poco zucchero


Opera sconfessata ed entrata nel numero delle cose della memoria (e basta), Poco zucchero di Faust'O appare all’orecchio dell’ascoltatore moderno un’opera accattivante.
Dimesse le attenzioni per la confezione new wave, che pesca nella pozza arida di un tempo passato in tutti sensi, si apprezza la spinta creativa e assertiva dei testi e delle scelte sintattiche, il piglio freak e il senso generale di convinzione, più a fuoco del precedente (e divertentissimo) “Suicidio”.
Gli arrangiamenti sono come sempre attraenti, in linea con il glamour del disco (a cominciare dalla copertina e dalla grafica radicale). In particolare la sessione di fiati contrappunta le ritmiche sincopate e gelide (Cosa rimane, irresistibile, Kleenex, in una versione désengagée, Funerale a Praga, drammatica e definitiva).
Le chitarre stendono un tappeto di accordi che talvolta si incrociano e risultano epiche (In tua assenza, capolavoro del disco, dai più congelato come scialbo remake di “Breaking glass” di Bowie, o ancora Il lungo addio, struggente capitolazione di un discorso), mentre l’elettronica stende al tappeto ogni stoicismo, sparpagliando il dubbio manicheo che la scelta dello stile sia o meno una chiara impronta dell’onestà dell’ispirazione.
Col senno di poi tutti gli allarmi rientreranno e si tenderà a farne cosa piatta, immeritatamente.
Cosa rimane?


Faust'O, 1979

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