24.11.06

Parabola


Primo disco di Vecchioni.
Il peggio arrangiato, dicono. E invece il basso “appiccicoso”, il piano stonato e filtrato, le tastiere approssimative, il coro registrato male, sono punti di forza di un lavoro amaro e patetico.
Guardare i testi per credere.

Lui se n’è andato:
poteva almeno andarsene in un giorno di sole
poteva far rumore come sempre
poteva non lasciare solo a me le sue paure
poteva dirmi col dolore ho chiuso questa sera

Povero ragazzo:
…tu che in questo istante starai pensando a lei
starai dicendo:"Come dorme bene!"
povero ragazzo! e a lei neppure passi per la mente
mentre grida t'amo
qui, fra le mie mani,
le stelle che le bruciano negli occhi
le braccia strette forte sul mio cuore
per non pensarti, non pensarti più

Eppure quel patetismo è genuino, funziona, e la convinzione del cantautore consente all’ascoltatore di perdonargli il narcisismo e la tautologia.
Luci a San Siro a parte, le idee si sprecano, e c’è un senso musicale morboso, avvolgente, che trova la sua apoteosi negli ultimi due pezzi: la title-track, con un cantato puntuto e istrionico, e soprattutto la perla del disco: una canzoncina chiamata Speranza.
Un’intro gelida al suono del piano trattato e del violino, che è breve zoomata su una scena in un interno, prelude al dramma di quanto sta per aversi. La strofa comincia, è disciolta nel basso e nella tastiera rarefatta, e quando cresce lo fa in modo sinuoso e trascinato.
Il pre-ritornello si apre al patetico che si diceva, e stende un acquerello sentimentale. Poi però arriva il ritornello, tutto in accordi maggiori, ripetitivo e secco, a spezzare il fiato. Il piano giocattolo impazzisce, va sui toni altissimi e disegna pattern infantili, il basso si alza di un’ottava e cambia espressione, tutto diventa un teatrino assurdo, la voce e i cori si alterano e ripetono in cadenza. È un aprosdoketon improvviso e macabro, e non fa che smentire quello che dice. È il fascino della negazione intrinseca. Dire una cosa e negarla nel contempo.
Il disco si chiude dunque così, con un messaggio di speranza che è quella dei disperati. Il testo è bellissimo:

Anche se nella vita voltandomi un mattino
io non ti troverò accanto
a me basta soltanto la tua felicità
Lo conosco il tuo dolore
credevi che oltre il monte ci fosse un giardino
e invece hai trovato soltanto
il fango di una città
Io non posso giurarti che questo amore ti salverà
e non posso aspettarmi che la ferita si chiuderà
A me basta darti speranza,
ma mi basta darti speranza,
ma mi basta darti speranza,
tu devi vivere!
Nessuno ti ricorda
a nessuno tu manchi
quel ragazzo non può tornare
e per questo soltanto
vorresti finirla lì
Ma guarda che la vita non è la prima porta
aperta in fretta senza bussare
è il balcone più grande
che guarda sul mare
Io non posso giurarti che questo amore ti salverà
ma mi basta darti speranza

Insomma, un’opera datata, per fortuna, marrone e fosca come la copertina, primo amaro vagito di un poeta che, come accade a tutti coloro che invecchiano nell’arte, passerà attraverso dischi belli e forti (“Ipertensione” ed “Elisir” su tutti) e si annacquerà presto nell’autobiografismo e in un senso dell’eros estenuato e pedante (come è giusto che sia per un anziano); un cammino coerente forse, ma triste.


R.Vecchioni, 1971

5 commenti:

Anonimo ha detto...

trovato!!!!
:)

Anonimo ha detto...

"Parabola" è stato il primo album che mi ha introdotto alla discografia e, soprattutto, alla poetica di Vecchioni. Ascoltando quei brani, ho capito subito che, se avessi continuato ad ascoltare le canzoni di questo cantautore, avrei scoperto un poeta. Poi, ascoltando anche altri album con altre canzoni, mi sono esaltato come era accaduto solo ai tempi in cui scoprivo, album dopo album, il grande De André.
Mi hanno fatto riflettere un po' le tue parole: "...in un senso dell’eros estenuato e pedante". Sì, sono d'accordo.
Ciao, un saluto!

Anonimo ha detto...

Credo che parabola, la canzone parabola... "con la moglie del quale ruppe subito..." sia un capolavoro e uno dei capisaldi della poetica vecchionina, il doppio: poeta/ragioniere. per quanto riguarda il senso dell'eros estenuato e pedante, mi vine in mente una canzone come Gaston e Astolfo che basta a fugare ogni dubbio... non c'è niente di estenuato e pedante, forse solo un po' di lirica classicheggiante...

marco ha detto...

Non parlo di scelte di lessico o di costrutti d'immagine, parlo semmai di una ontologica dimensione senile dell'amore, che (nella mia personale e minima concezione) è estenuata e pedante per moltissimi artisti.
Esistono brillanti eccezioni, lo so ("Chiamami adesso" di Paolo Conte, su tutti, e il Battisti di Panella), ma sono loro i traditori, gli "sconci".
D'accordo su "Parabola". Il piano distorto che contrappunta "E Poeta le dissse: Margherita..." è un pezzo di intensità lacerante.

Anonimo ha detto...

Hello. And Bye.