22.12.08

Aristosseno


Ei diceva che vano è il pensare le realtà musicali in termini di grandezze misurabili e fuorviante è il normalizzarsi unicamente sulla estensione degli intervalli; occorre invece rimettersi al giudizio dell'orecchio e teorizzare solo ciò che si percepisce; da qui il concetto di somiglianza e di non somiglianza che spodesta quello di eguale e diseguale.
La colorizzazione, l’iridata purezza delle forze basilari della natura (le onde), come primordio dell’astrazione percettiva che strugge.
Come può la musica scalfire l’inconscio e, attraverso l’uomo, farsi motore? Come può un suono farsi fonte di energia?
E, per estensione, come può un’emozione farsi forza (un’entità cioè in grado di impartire un’accelerazione ad una massa)?
Perché un quadro astratto può far febbricitare, perché un film può cambiare il disordine molecolare di chi sperimenta?
Andando fino in fondo… se credo che un’emozione possa generare un lavoro (inteso come forza per spostamento), perché non credo in Dio, che rappresenta l’implicito volo dall’idea alla materia?

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Tutto parte da noi stessi, secondo me. Siamo un corpo e un'anima che ancora oggi mi sfugge e che fatico a capire, o forse ho capito ma non sento, non so...E non so nemmeno se un pizzico di superficialità o di astrazione dal contesto in cui vivo possa aiutarmi. Quello che scrivi lo condivido ma fatico a sentire veramente il profumo di un'emozione.
Stefano

Johan ha detto...

Il giorno che ebbi modo di leggerlo con te, a casa di Stefania, riconobbi fra queste parole uno scarto ontologico che nemmeno io sono mai riuscito a svolgere.
Come sai, ho sempre affermato di essere un credente in senso personale e soggettivo (della serie: al tempo non sarei sfuggito a Torquemada).
Affermo che vi sia un Dio il quale rappresenta proprio "l'implicito volo dall'idea alla materia", come hai scritto.
E' certo più ragionevole che io ne accetti non l'esistenza in quanto tale, quindi conseguente e passibile di definizione, ma in quanto estremizzazione dei frammenti. In quanto Parola asceticizzata.
Dio, come invisibile eppur concreta distanza fra idea e materia. Fra osservatore ed arte osservata. Fra oggetto materiale ed arte in esso infusa.
Dio, del resto, è propriamente un concetto edotto dalla "coloritura" di tre lettere in successione e forse, dunque, demistificandone il significato che in tanti secoli lo ha mascherato, risulterebbe esso stesso molto più vicino alla nostra "fede" riguardo l'Arte.
Il mio Dio, insomma, risiede proprio nel lavoro fisico e di conseguenza emozionale prodotto da un quadro, o da un libro, o da un film. In senso parziale, forse, o come traccia del totale.
Che Dio sia dunque la Coloritura Armonica e Generalizzata della materia, pensandola in questo modo?

Ciò che hai scritto è per me, come sempre, spunto di lunga riflessione. :)
Non mi stancherò mai di ringraziarti per la naturale conseguenza nel parlare con te che è quella di aprire i miei occhi ad altri punti di vista.

§Johan Razev§