17.12.10

Embryonic


Circa un anno fa i Flaming Lips divulgavano il doppio CD Embryonic (soliti Echoes of Pink Floyd), con la copertina ricoperta di pelliccia. Un parto simulato, dunque, non umano certamente, forse di qualche animale mitologico da esperimento, forse semplicemente di una mente overstated.

Ruvido ma estetizzante, apparentemente meno lezioso dei lavori precedenti, ma stucchevole a tratti, il disco è un singulto ai confini della realtà emesso da una scimmia lanciata nello spazio.

Tra pictures of jap girls in sintesi e Steve Hackett che affiora nelle parti vocali (al solito goffe) c’è anche un’eco di Tomita che fa i Pianeti di Holst, a fregiare un viaggio allucinante nel cosmo (interiore?), segni zodiacali compresi (che orrore le stelle a forma di scorpione, o di sagittario! finalmente qualcuno punta il dito su quelle minacce che ci sovrastano! Come pesano quella vergine e quella bilancia enormi, totali, simboli sovrastanti grevi e tremendi!).

Il risultato, come tutte le scorze, è duro. Il suono una parete metallica, la melodia una filigrana diafana, il ritmo un battito disperatamente elettrificato.

I cattivi sosterrebbero che il diavolo è nei dettagli: nell’apparente vistoso mono-tono, cioè, si nasconderebbe il solito bad trip secco di idee (ed essendo i F.L. dei furbetti questo pensiero è anche lecito). Ma i buoni sanno che la sincerità la maggior parte delle volte è fraintesa .

A riprova della buona fede dell’opera ci sono l’ensemble poco accattivante, l’incedere marziale e antipatico, la ciclicità ossessiva dei temi e delle figure musicali, il tessuto compatto (quasi spugnoso), e una miriade di richiami patetici per l’orecchio saggio.

Questa piccola Space Odyssey si colloca in definitiva tra le opere piene di difetti ma dignitosamente belle, lievemente auto-iconoclasta e dunque fredda, ma piacevole, come una gelata di prima mattina, con le belle foglie di ghiaccio sui vetri, quelle che ci dispiace lavare via con l’acqua calda e coi tergicristalli della partenza coatta - quando cioè faremmo volentieri un giro nello spazio anziché accendere l’auto e andare a lavorare.

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