14.5.08

First Utterance


Il primo vagito dei Comus è un disco difficile da recensire. È del 1971, presenta una strumentazione acustica, un doppio canto molto chiaroscurato (voce maschile ruvida, voce femminile melodica), atmosfere gotiche venate di psichedelia. Cavalcate medievali (The Bite), ossessioni tribali (Diana, Song to Comus, The Prisoner), oscuri intermezzi (Bitten), immagini ossianiche (Drip Drip), sono contrappuntati da uno dei pezzi più belli del prog, una sorta di suite sospesa tra le follie sparse nel disco (The Herald).
Sin dalla copertina, il gruppo si voca al caos e alla mostruosità come forma espressiva necessaria.
I molti eccessi dell’opera sono volutamente raffreddati da arrangiamenti folk, e l’aria che si respira è sinceramente mistica, tale da spingere all’ascolto ripetuto, come un mistero che richiama a sé.
Addentrandosi nel bosco, l’incauta Diana e gli ascoltatori entrano in contatto col dio Comus, trionfo del bacchico non epico, elogio panico dell’istinto contro l’imperfezione di chi riesce a fuggire (The Herald, gli araldi che si fermano prima del bosco, e che, come i sette messaggeri di Dino Buzzati, recano notizie di fantasmi). È difficile schierarsi tra la vittima e il carnefice, in questo caso.
Scheda operativa: chi è posseduto da un demone deve cercare di fuggire? Nel think tank deve esserci per forza un posto per la catarsi? Come ci si può disintossicare dall'oscuro richiamo del male?

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